La Leggenda delle Acciughe

On 20 agosto 2018 by Nonna Tina

LA LEGGENDA DELLE ACCIUGHE
di
Mitì Vigliero Lami

Tanti e tanti anni fa, così tanti che non potete manco immaginarne quanti, splendeva nel cielo una numerosa famiglia di stelle; stelle piccine piccine, ma luminosissime, forse le stelle più luminose di tutto l’universo celeste.

Si chiamavano Engrauline ed erano molto, molto vanitose. Infatti ogni notte, dall’alto del cielo si specchiavano sull’acqua del mare, e nella volta infinita echeggiavano incessantemente le loro vocette piene di boria:

“Guardate la nostra luce,” dicevano superbe alle Pleiadi, “guardate com’è intensa, chiara, sembra argento puro…”

“Guardate i nostri riflessi,” dicevano tronfie alla Via Lattea, “guardate come palpitano vivi sulla nera acqua del mare…”

“Guardate gli umani,” dicevano altere ai Pianeti, “guardate come ci ammirano con la testa volta all’insù…”

Le altre stelle ascoltavano, guardavano e rispondevano che davvero sì la loro luce sembrava argento; che davvero sì riflessa sull’acqua nera del mare sembrava viva; che davvero sì gli umani le ammiravano molto…

In realtà erano risposte meccaniche, dettate da mera educazione e soprattutto dalla segreta speranza che le Engrauline stessero un po’ zitte.

Ma le stelline vanesie anche durante il giorno continuavano a parlare e parlare e parlare, senza mai prender fiato una volta. Solo che, di giorno, le loro parole si traducevano in continue lamentazioni:

“È ingiusto, nessuno di giorno può vedere la nostra splendida luce d’argento…”

“Accidenti, potremmo essere molto più ammirate dagli umani se questi ci potessero guardare anche col Sole…”

“Uffa, di giorno qui in cielo non sappiamo che fare e ci annoiamo, perché non possiamo vedere la nostra bellezza riflessa sul mare…”

Una notte in cielo c’era la Luna piena; pareva un disco di diamante purissimo, dal quale partiva una luce talmente splendente da rendere il mare bianco come platino fuso.

Le stelline Engrauline chiacchieravano ininterrottamente come al solito, ma stavolta erano rose dall’invidia:

“Ma guardala, osa oscurare con il suo i nostri splendidi riflessi d’argento?”

“Solo perché è più grande di noi si crede tanto bella?”

“Bella lei, con quella facciona così larga e così tonta?”

E la Luna, dal carattere dolce, mite e sensibile, a sentire le continue frasi cattive e velenose pronunciate dalle stelline, soffriva e piangeva in silenzio; e tutti gli altri corpi celesti, che amavano la Luna perché era dolce, mite e sensibile, piangevano con lei.

Ma il Buon Dio, vedendo la pace del suo Regno rischiare di naufragare in un mare di lacrime, perse – e fu una delle rarissime volte – la pazienza.

Si recò dalle Engrauline e, guardandole severamente, tuonò:

“Ho ascoltato per anni di notte le vostre superbie; ho ascoltato per anni di giorno le vostre lamentele, e sono sempre stato paziente.

Tutte le cose che ho creato sono perfette; voi no, perché siete troppo vanitose, credendovi le più belle creature del cielo.

Siete troppo lamentose, e non capite invece che la vostra vita è sublime; qui in cielo non fate nulla, non vi stancate, non vi affannate, non soffrite la fame e la paura.

Inoltre parlate sempre e troppo e oggi, con le vostre vane e crudeli parole, siete riuscite persino a far piangere la Luna, ottima, dolce utile creatura che governa le maree, le nascite, il pane e il vino.

Ora basta, ho deciso: vi toglierò da qui e vi manderò in quel mare che tanto vi piace usare come specchio”.

Con un gesto imperioso della mano, il Buon Dio strappò dalla volta celeste le Engrauline e le gettò in mare.

“Ecco” disse dall’alto “finalmente gli umani potranno godere giorno e notte del vostro splendido color argenteo, che però non sarà più eterno, ma fuggevole come un sospiro.

E finalmente gli umani continueranno ad apprezzarvi molto sì, ma come cibo.

E da oggi sarete costrette a correre, a stancarvi, a patir la fame e la paura.

E soprattutto, come tutti i pesci, starete finalmente zitte per sempre”.

Fu così che, il giorno dopo, le reti dei pescatori del mare si riempirono per la prima volta di innumerevoli esemplari di piccoli pesci lucenti come argento vivo battezzati dai sapienti Engraulis Encrasicholus, ma che i semplici chiamarono, da allora e per sempre, semplicemente Acciughe.

 

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